Con la sentenza n. 16 del 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, co. 2, c.p.p., nella parte in cui non prevede che il giudice per le indagini preliminari, che ha rigettato la richiesta di decreto penale di condanna per mancata contestazione di una circostanza aggravante, sia incompatibile a pronunciare sulla nuova richiesta di decreto penale formulata dal pubblico ministero in conformità ai rilievi del giudice stesso.
La Consulta ha ricordato, anzitutto, che le norme sulla incompatibilità del giudice sono poste a tutela dei valori della terzietà e della imparzialità della giurisdizione, presidiati dagli artt. 3, 24, co. 2, 111, co. 2, Cost. Queste norme risultano infatti finalizzate a evitare che la decisione sul merito della causa possa essere o apparire condizionata dalla “forza della prevenzione” scaturente da valutazioni cui il giudice sia stato precedentemente chiamato in ordine alla medesima res iudicanda (v., ex plurimis, sent. cost. n. 183 del 2013 e n. 153 del 2012). La Corte ha altresì menzionato i criteri in base ai quali determinare l’insorgere dell’incompatibilità, con riguardo sia all’“attività pregiudicante”, che alla “sede pregiudicata”.
Nel caso specifico, la Consulta ha ritenuto che il rigetto della richiesta di decreto penale per mancata contestazione di una circostanza aggravante comporti una valutazione di merito sulla res iudicanda. In tale provvedimento è, infatti, insito il riconoscimento che non solo il fatto per cui si procede sussiste ed è addebitabile all’imputato, ma che è altresì aggravato da una circostanza trascurata dal pubblico ministero.
Inoltre, come ha osservato la Corte, il rigetto della richiesta di decreto penale determina la restituzione degli atti al pubblico ministero (art. 459, co. 3, c.p.p.) e, con essa, la regressione del procedimento nella fase delle indagini preliminari.
Di conseguenza, la successiva riproposizione della richiesta di decreto penale apre una nuova fase di giudizio che, sebbene omologa alla precedente, resta da essa distinta e nella quale, pertanto, la valutazione “contenutistica” insita nel provvedimento di rigetto della prima richiesta esplica la propria efficacia pregiudicante.
Pertanto – ha concluso la Corte – l’art. 34, co. 2, c.p.p. va dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede l’incompatibilità del G.i.p. che abbia rigettato la richiesta di decreto penale per mancata contestazione di una circostanza aggravante a pronunciarsi sulla nuova richiesta di decreto penale avanzata dal pubblico ministero in conformità ai rilievi precedentemente formulati dal giudice.